LE BANDE PRIMA DELL'UNITA' D'ITALIA

Banda di Conversano
L
e bande per il Sud non rappresentano quindi una banale forma artistica ma un più articolato e complesso fenomeno storico, culturale e sociale. Sul finire del XVIII secolo, la musica comincia ad affrancarsi dalla soffocante cappa imposta dalle chiese e dalle corti,tamburo rullante cominciando ad esprimersi liberamente e pienamente. Relegata fino ad allora al ruolo di semplice accompagnamento o puro divertimento, la musica s'impone come mezzo per esprimere quell'ansia di potenza e rinnovamento che pervade l'inizio del XIX secolo. Trionfa il pianoforte, elemento essenziale di arredamento di tutte le case borghesi: posto al centro del salotto delle case benestanti, questo strumento diviene rappresentativo delle classi medio-alte e perciò ambasciatore di idee, gusti e tendenze presso le altre classi sociali. I grandissimi compositori di quel periodo scrivono sinfonie per orchestre ottavino Mahillonsempre più grandi e sonore e melodrammi, che rispecchiano le ansie, le aspettative, le lotte ed i travagli della società romantica. Purtroppo la cronica mancanza di teatri e l'arretratezza culturale delle popolazioni sotto il regime borbonico tagliano fuori la Puglia da questa rivoluzione culturale. La banda finisce così per rappresentare l'unico veicolo per fornire alla gente musica in maniera gratuita e in luoghi diversi da quelli fino ad allora possibili, come quelli ecclesiali o di corte. In Puglia le bande diventano veicolo di propaganda delle idee laiche e democratiche che la rivoluzione giacobina comincia a diffondere. Tra la fine del XVIII e l'inizio del XIX secolo anche in questa regione cominciano a sorgere forme di musica popolare antielitaria, di cui la banda, composta da artigiani, contadini e militari in congedo, finisce col rappresentare l'espressione più genuina. Queste bande, già presenti durante il periodo dell'occupazione francese, dopo il 1815 continuano ad esibirsi non solo nelle piazze ma anche nei teatri e nelle chiese, veicolando in tal modo le originarie idee e passioni patriottiche per tutte le contrade del Regno. Il fascino della Rivoluzione insieme al bisogno di ascoltare musica delle popolazioni pugliesi fanno sì che le bande diventino un'importante componente della vita civile tanto da non poter più essere smantellate dopo la Restaurazione.
Banda di Castellana grotte 1929 maestro Piantoni
La polizia borbonica intuisce che tra le formazioni dilettantistiche si possono celare covi carbonari e divulgatori di idee rivoluzionarie, per cui, alla fine degli anni Venti, comincia a schedare tutti i bandisti delle il maestro Giuseppe Piantonivarie compagini, sorvegliandone strettamente le attività e gli spostamenti (alleg. 1). Si giunse così ad una vera e propria schedatura di tutti i musicanti, osteggiando e screditando quelli sospettati di non essere allineati con il regime (alleg. 2). Queste misure non si rivelano efficaci, per cui si progetta di inquadrare le bande entro le esistenti strutture civiche dell'amministrazione borbonica, in modo da poter meglio gestire il numero sempre crescente di persone che si associano alle bande cittadine. La prima banda civica salentina approvata dall'amministrazione borbonica è quella di Grottaglie (1828) seguita da quella di Montemesola (1838). La gran parte delle bande però non sì "normalizza", al contrario durante l'estate del 1841 la polizia borbonica inizia una notevole attività investigativa ed allora numerosi complessi sono costretti ad essere inquadrati nelle strutture amministrative locali del Regno Borbonico. La polizia borbonica osteggia specialmente l'uso di divise (di chiara impronta napoleonica) che i bandisti usano durante le loro esibizioni. L'amministrazione borbonica decide infine, per rendere "regolare e convenevole" l'esibizione delle bande, di regolamentarle, inserendole nella Guardia Urbana, corpo paramilitare attivo nel Regno delle Due Sicilie già dal 1827. L'apice della normalizzazione avviene parallelamente all'emanazione di un decreto, nel 1841, che crea una vera e propria anagrafe ufficiale dei bandisti-urbani, disciplinando e regolamentando gli spostamenti dei musicanti sotto l'attento occhio della polizia borbonica. Il DECRETO pubblicato il 7 Marzo del 1841 sul "Giornale d'Intendenza di Terra d'Otranto" fissa i canoni a cui le bande dovevano attenersi.



banda di Mottola 1928
Nel 1841 si giunge ad un decreto che disciplina anche gli spostamenti dei gruppi bandistici da un comune all'altro (alleg. 3). Le due componenti musicali (l'opera e la società filarmonica) costituiscono un très d'union, rappresentato dalla banda musicale comunale, che si riveste del compito arduo ma indiscutibilmente nobile di diffondere la cultura musicale alla massa che ascoltava e capiva; se "sapere è potere", cappello cineseindubbiamente gli analfabeti contadini capiscono tramite la banda musicale la situazione politica centrale. Inoltre, dagli atti delle Intendenze che schedano le bande, risulta che i tanti bandisti accusati di aderire alla carboneria, per evitare che nocessero ancora al Re, sono diffamati come effeminati, motivo questo di annullamento sociale in una società gretta e chiusa nel suo guscio provinciale (alleg. 2). A dispetto del potere centrale, le bande pugliesi sono di un discreto livello musicale, anche perché la banda ripete quei motivi che erano stati eletti a manifesti politici durante i moti popolari. La diffamazione dunque non prende più di tanto piede nella società: in fondo i bandisti non sono i maestri di musica dei teatri o i ricchi musicisti del nord delle Società filarmoniche, ma sarti, barbieri, calzolai. Essi si trovano coinvolti nelle sette carbonare e, dopo la loro sconfitta del 1820, capendo che la massa non avrebbe mai potuto capire gli ideali massonici tramite la scrittura e il volantinaggio, decidono che lo strumento principe sarebbe stata la musica, linguaggio universale, l'unico in grado di suscitare fascino e approvazione tra i diversi strati della popolazione. È una grande idea, ma chiaramente suonare temi carbonari o massoni in pubblico non sarebbe stato un suicidio; le bande eseguono in pubblico temi d'opera, avvicinando la massa non solo agli ideali di fratellanza dei Moti, ma anche alla nobiltàhelicon della musica colta del nord. In questo la banda diventa la più eccezionale via di trasmissione e d'insegnamento per il popolo minuto. Questo modo di fare, naturalmente, preoccupa non poco le gerarchie politiche che ancora non riescono a capacitarsi dell'importanza di piccole confraternite di lavoratori e disoccupati, che suonano musica colta e anche di buon livello, ma imbarbarita dagli strumenti e dai suonatori. Dagli archivi provinciali possiamo anche ricavare interessanti informazioni circa i nomi dei capobanda e dei musicanti, la loro età ed i loro mestieri (alleg. 4): sappiamo così che nel 1853 la banda di Guagnano era composta da sei calzolai, cinque falegnami, un contadino, un ferraro, un pizzicagnolo e tredici elementi che vivevano del proprio; la terza banda di Montemesola era composta da nove calzolai, sette cavamonti, sei sarti, cinque muratori, tre falegnami, un carpentiere ed un proprietario ed infine quella di Neviano era costituita da dodici calzolai, nove sarti, tre falegnami, un ferraro e sei musicanti (professionisti!). Non tutte le bande però chiedono di essere inquadrate nei corpi delle Guardie Urbane, per cui di queste (oltre dieci) non riusciamo a sapere le identità dei componenti.
banda di Ruvo, maestro Amenduni 1928
Tra le più importanti bande non inquadrate ricordiamo quella di Monteroni che nel 1836 è guidata da Vincenzo Spinelli, maestro napoletano trasferitosi a Lecce, quella di Brindisi, costituitasi nel 1842 e ricostituitasi nel 1847 ed infine quella di Presicce, fondata nel 1832 dal marchese Giacomo Arditi "per occupare utilmente i giovani artigiani e che visse famosa e ricercata nella provincia e fuori fino al 1853". fanciullo della banda di Gallipoli Altre importanti informazioni provenienti dalla lettura dei documenti del tempo riguardano gli strumenti che venivano usati in queste formazioni (alleg. 5). L'inquadramento nella Guardia Urbana, oltre che un efficace mezzo di controllo da parte della polizia borbonica, costituiva l'unica maniera per poter trovare i fondi per rinnovare lo strumentale e le divise. In quell'epoca in Puglia troviamo organari, cembalari e chitarrari ma rarissimi sono i costruttori di strumenti a fiato (l'unico degno di nota è il gallipolino Giuseppe Oronzo Leone) da cui acquistare strumenti di qualità (particolarmente ricercati erano quelli viennesi). Alla luce del rinnovamento degli strumenti utilizzati nelle bande, era molto arduo comprare strumenti moderni senza l'appoggio delle pubbliche amministrazioni. Molte amministrazioni locali si assumono l'onere di acquistare divise e strumentale per cederlo in "comodato d'uso" alla banda locale. Moltissimi musicanti sono in grado di leggere la musica ma sono indigenti ed analfabeti, perciò i notabili garantiscono con la propria firma i musicanti comodatari. Il fatto di non essere costituita da musicanti professionisti priva la banda della possibilità di contare sempre su un nucleo stabile di elementi, esponendosi quindi a repentine riduzioni di organico e a difetti di affiatamento. Tutte le bande, infatti, sono costituite da un certo numerofanciulli dell'orfanatrofio di Oria di adulti e da un più o meno cospicuo numero di fanciulli. L'utilizzo dei giovanissimi era giustificato anche da una sorta di etica per cui ai giovani, quasi tutti analfabeti, era garantita dalle strutture municipali un minimo di istruzione ed erano utilmente impiegati in attività artistiche con una sorta di tirocinio professionale, salvo nocive contaminazioni politiche. Il crescente entusiasmo per le bande è addirittura visto come esempio di progresso generale dell'incivilimento proprio perché dall'istruzione musicale dei giovani artigiani tutta la cittadinanza trae onesto e gratuito diletto, oltre che civile insegnamento. Alla fondazione della banda di Lecce (1846) troviamo molti gentiluomini (Romano, Rossi, Cimino) pronti a garantire in solido per l'acquisto di nuovi strumenti ai giovani musicanti-artigiani. Dai rogiti notarili dell'epoca possiamo inoltre ricavare quali fossero i metodi didattici dei capobanda-maestri: le lezioni sono giornaliere e vanno dall'alba a mezzogiorno e riprendono la sera tardi in modo che il giovane non trascuri il tirocinio da artigiano. Sono costituite vere e proprie classi di strumenti con esami periodici ed in alcuni casi (Carovigno) il maestro istituisce classi di strumenti a corda e tiene lezioni di canto corale. Nasce così una sorta di competizione con alcune bande reggimentali che durante tutto l'Ottocento si esibiscono ininterrottamente sotto ogni bandiera (giacobina, borbonica e sabauda).

Attenzione tenendo il puntatore sulle immagini apparirà la didascalia.



ascolta largo al factotum Barbiere di Siviglia

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